DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Nel numero scorso di questo giornale, precisando che non s’intendeva fare opera di fredda e accademica storiografia, ma di ripresa appassionata di questioni teoriche, politiche, strategiche, abbiamo visto come, con le “Tesi” dell’aprile 1917, Lenin abbia riportato sulla dritta via rivoluzionaria il partito bolscevico, troppo tiepido in quelle settimane e mesi nei confronti della borghesia vittoriosa a febbraio e dimentico di quella che era sempre stata la strategia della “doppia rivoluzione”, della “rivoluzione in permanenza”, come l’avevano tracciata Marx ed Engels e Lenin stesso. Ci occupiamo ora, con lo stesso approccio e intento, delle giornate dell’insurrezione, dense anch’esse di problematiche teorico-politico-strategiche e decisive allora come lo saranno in futuro. Non va però dimenticato che, fra l’aprile e l’ottobre 1917, molti avvenimenti si sviluppano, che mettono a dura prova la capacità di analisi e direzione del partito bolscevico: ricordiamo in modo particolare, per le molte e profonde implicazioni, le “giornate di luglio” (in cui il partito è costretto a frenare le masse stesse, che vorrebbero aggredire il potere borghese, in assenza però delle necessarie condizioni soggettive: vale a dire, un’influenza decisiva – e certo non banalmente numerico-elettorale – del partito bolscevico nei soviet e più in generale all’interno del proletariato e del contadiname più povero) e l’“affare Kornilov” (in cui il partito bolscevico, di fronte al rialzare il capo del vecchio modo di produzione zarista feudale simboleggiato appunto dal generale Kornilov che, con le sue armate, stringe d’assedio il governo democratico-borghese, dà a quest’ultimo il proprio appoggio, ma in totale indipendenza politica e militare, pronto – una volta scongiurato il pericolo – a strangolarlo: come avverrà appunto in ottobre). Si tratta di due “episodi” estremamente importanti, perché dimostrano come la grande capacità strategico-tattica del partito bolscevico si fondi sull’aderenza ai principi e alla teoria, e certo non sull’eclettismo e sul manovrismo, che saranno poi, purtroppo, i primi segni distintivi della degenerazione staliniana del partito di Lenin.

 

Per evitare di appesantire il testo di altre note, ricordiamo qui quanto segue:

1)    Louis-Auguste Blanqui (1805-1881), rivoluzionario francese e membro della Comune di Parigi, fu il teorico della rivoluzione come “colpo di mano” operato da una setta segreta senza collegamento con il proletariato, e come tale criticato ripetutamente da Marx ed Engels e da Lenin;

2)    con il trattato di pace di Brest Litovsk (3 marzo 1918), i bolscevichi ormai al potere dovettero accettare condizioni-capestro pur di chiudere totalmente con la guerra imperialista;

3)    Georges-Jacques Danton (1759-1794) fu uno dei protagonisti della Rivoluzione francese del 1789;

4)    la riunione di Bologna del Partito comunista internazionalista (poi “internazionale”) si tenne il 31 ottobre-1 novembre 1954 e trattò ampiamente il tema, successivamente pubblicato sulle pagine di questo giornale (e, nel 1990, in volume), “Russia e rivoluzione nella teoria marxista”; alle riunioni di Napoli e Genova (aprile e agosto 1955), venne invece trattato il tema “Struttura economica e sociale della Russia d’oggi”, che sarà all’origine dell’omonimo, ampio lavoro, pubblicato sulle pagine di questo giornale fra il 1955 e il 1957 (e, nel 1976, in volume, insieme ad altre trattazioni sul medesimo argomento).

 

100 - L'insurrezione e un'arte!

Dobbiamo rapidamente seguire il decorso della lotta per prendere il potere. Le vicende  sono note: ma dato il fatto notevole che una corrente del partito si oppose, dobbiamo dare la precedenza a questa questione “politica” per verificare dopo con quale programma sociale il partito bolscevico impostava la battaglia conclusiva, e stabilire ancora una volta la continuità della prospettiva. Indubbiamente mai più sarà possibile avere la serie vera della corrispondenza tra Lenin e il centro del partito, e quella dei verbali del Comitato Centrale in cui si dibattevano gli storici punti; preparare l'attacco armato, scegliere il momento per sferrarlo con successo (1). Uno scritto di Lenin dell'1/14 settembre [come sempre, indichiamo entrambe le date, la prima del calendario russo, la seconda del calendario occidentale – NdR] si riferisce diffusamente al problema della crisi economica e della “catastrofe imminente” per la Russia, governata da borghesi e social-traditori, e minacciata da colpi di destra. Ma una lettera al comitato centrale che segue di pochi giorni (13/26) porta decisamente in primo piano il tema dell'assalto al potere: Il Marxismo e l'Insurrezione. L'urgentissima comunicazione non omette di riportarsi alle basi di dottrina. I revisionisti di destra del marxismo hanno rivolto l'accusa di blanquismo ai marxisti radicali. In Marx invece l'insurrezione è trattata come un'arte, nello stesso senso che si parla con correzione terminologica di un'arte della guerra e delle sue norme e regole (2). Distingue i marxisti rivoluzionari dai blanquisti il fatto che essi non considerano l'insurrezione come la sola attività politica e non la considerano un'attività da intraprendere in un momento qualunque. La guerra, dicono i teorici militari, è una continuazione della politica degli Stati. Nessuno Stato è sempre in guerra, normalmente il mezzo della sua politica estera e dei suoi rapporti anche di contrasto con altri stati è la negoziazione, la diplomazia: quando da questa si passa (e come oggi vediamo nei più vari modi e trapassi) alla guerra dichiarata, esiste per condurre questa un'arte, affidata agli Stati maggiori. L'estrema forma del contrasto tra le classi sociali è la guerra civile, Marx lo dice ad ogni momento. Lenin chiarisce la differenza col blanquismo nello stabilire che per l'iniziativa dell'insurrezione non basta il volere di un gruppo cospirativo e nemmeno di un partito rivoluzionario (sempre indispensabile, non sufficiente di per sé ed in ogni caso e momento). Occorre un determinato grado di attività delle masse, che in genere si ravvisa ad un solo istante del decorso di una grande lotta classista. Scoprire tale momento, come prepararlo e condurre l'azione armata, è un'arte che il partito deve studiare, conoscere, applicare felicemente. Lenin esamina i rapporti delle forze al 3-4 luglio e conclude che in quel momento il partito non doveva tentare l'assalto. Gli avversari non erano ancora sconvolti dagli eventi, lo slancio rivoluzionario proletario era limitato. Dopo l'episodio Kornilov, tutto questo, dai due lati, è mutato. Oggi “la nostra vittoria è certa”. Lenin disperde l'alternativa, cui sa che alcuni credono, di un'azione nel seno del Pre-parlamento. “La decisione sta fuori della Conferenza, nei quartieri operai di Pietrogrado e di Mosca”! I tedeschi minacciano Pietrogrado. Il governo non può più difenderla e non può né vuole fare la pace. Noi, dice Lenin ponendo a questo stadio le due facce del tremendo problema internazionale, noi soli possiamo fare le due cose. Proporremo la pace, anche un armistizio ci basterà. “Ottenerlo oggi significa già vincere il mondo intero!” Ma se non potremo fermare l'ondata noi condurremo anche la disperata guerra rivoluzionaria: per il fronte toglieremo ai capitalisti stivali e pane! Brest Litovsk doveva superare questa più che tragica alternativa. Per la Conferenza Lenin sostiene non discorsi ma una breve dichiarazione, cui seguirà il boicottaggio del derivato Pre-parlamento. Rottura completa con la borghesia, destituzione di tutto il governo attuale, rottura con gli imperialisti franco-inglesi, passaggio di tutto il potere nelle mani di una democrazia rivoluzionaria guidata dal proletariato rivoluzionario. Lenin sottolinea le ultime parole e ci riconferma che non ha interruzioni la linea del 1905 e di Aprile, se pur dispiace a Trotsky: ciò in connessione, egli aggiunge, col nostro progetto di programma: la pace ai popoli, la terra ai contadini, confisca dei profitti scandalosi dei capitalisti, repressione dello scandaloso sabotaggio della produzione perpetrato da essi. Per la centesima volta: la rivoluzione socialista, ma non la società socialista (che verrà, lo vedremo presto ancora, da Occidente). Dopo di ciò azione a fondo nelle officine e nelle caserme (notate: in questa convulsa fase dell'attacco non si attendono alleati contadini insorti). Subito dopo ciò, scegliere il momento propizio per l'insurrezione. Come nota Trotsky (mentre qui Lenin vuole solo dimostrare che non si resta fedeli al marxismo e alla Rivoluzione se non si capisce che l'insurrezione va trattata come un'arte) le sue comunicazioni passano all'applicazione in concreto, si diffondono su tutti i particolari della strategia insurrezionale, dei posti da prendere, delle forze da dislocare...

 

101 - Ancora contrasto nel partito

Nella lettera dell'8/21 ottobre Lenin incita ancora e discute perfino la cifra di armati occorrenti per superare la resistenza del governo.

Egli in tal frangente torna a citare Carlo Marx: “L'insurrezione, come la guerra, è un'arte”.
Si serve delle stesse raccomandazioni fatte da Marx 65 anni prima, e conclude con la finale citazione di Danton, “il più grande maestro di tattica rivoluzionaria finora conosciuto: dell'audacia, ancora dell'audacia, e sempre dell'audacia”!
E Lenin chiude così: “Speriamo che nel caso in cui sarà deciso di agire, i dirigenti applichino con successo i grandi comandamenti di Danton e di Marx”. “Il successo della rivoluzione russa e della rivoluzione mondiale dipende da due o tre giorni di lotta”! (3). Nella storica riunione del Comitato Centrale cui Lenin giunge travestito, il 10/23 ottobre (a quindici giorni dalla vittoria) si vota la mozione che deduce l'urgenza di attaccare da motivi tratti dalla situazione internazionale: l'ammutinamento della flotta in Germania, come più alta manifestazione di sviluppo in tutta Europa della rivoluzione socialista mondiale... la situazione militare, ecc... mettono all'ordine del giorno l'insurrezione armata. La decisione non fu concorde. Kamenev e Zinoviev votarono contro. Non seguiremo qui tutte le manovre della storia ufficiale [staliniana - NdR] per far credere che anche Trotsky in qualche modo dissentisse, e che non fosse lui a dirigere in pieno l'arte dell'insurrezione. Negli anni dal 1920 al 1926 queste cose le raccontavano a Mosca, senza che nessuno dissentisse, anche le pietre. Il 16/29 ottobre nella riunione allargata del Comitato Centrale i due tornarono a parlare contro l'insurrezione. Battuti ancora una volta, e qui fu il fatto grave, due giorni dopo dalle colonne di un giornale menscevico affermarono che il loro partito sbagliava, lanciandosi in una pericolosa avventura. La nuova lettera di Lenin del giorno stesso è tremenda. Egli si impegna a chiedere al Congresso che i due siano espulsi dal partito, li chiama signori e li sfida a fondare un partito dissidente “con qualche decina di disorientati o di candidati all'assemblea costituente”. Lenin si ferma sulla rivelazione di una decisione interna del partito. Accenna agli “argomenti ideologici” dei due: l'attesa dell'assemblea costituente, sperando (!) di resistere fino ad allora, e un “querulo pessimismo”: i borghesi sono fortissimi, gli operai ancora troppo deboli. La conclusione di Lenin è questa, drammatica: “Momento difficile. Compito arduo. Tradimento grave”. Lenin non dispera un momento degli operai. “Gli operai serreranno le file, l'insurrezione contadina e l'impazienza estrema dei soldati al fronte compiranno l'opera! Serriamo le file, il proletariato deve vincere!” (4). Ma egli vede sabotata la lotta di due o tre giorni, nella cerchia delle grandi capitali.

102 - Gli organi della lotta

In un primo tempo, al momento dell'abbandono del Preparlamento, fu dal partito (nel racconto di Trotsky) formato un Ufficio per le informazioni sulla lotta con la controrivoluzione (5) affidato a Trotsky, Sverdlov e, proposto da Stalin in sua vece, Bubnov. Secondo Trotsky, Stalin era per l'insurrezione, ma non credeva il partito pronto. Secondo Stalin, è il contrario, o addirittura Trotsky fece una proposta tale da silurarla. È incredibile questo estremo raggiunto, nella nostra età, nel modo di esporre la storia: si mente alla Danton: dell'audacia, ancora dell'audacia, e sempre dell'audacia! Ci perdoni la grande giacobina ombra, se prendiamo a prestito per così vile cosa la sua storica parola.

Il 9/22 ottobre il conflitto tra Soviet e governo stava per scoppiare per il minacciato trasferimento al fronte della guarnigione rivoluzionaria. Nel seno del Soviet, Trotsky propose e formò il Comitato Militare Rivoluzionario.

Sotto le pressioni bolsceviche il Secondo Congresso panrusso dei Soviet era convocato per il 20 ottobre/2 novembre. Poiché era necessario che il potere fosse preso almeno a Pietrogrado prima del 20, perché il Congresso, in cui era sicura la maggioranza per la tesi bolscevica, potesse prendere il potere a governo giù battuto, alla descritta seduta del 10/23 si stabilì come giorno per l'insurrezione il 15/28. Al Comitato Militare parvero troppo pochi 5 soli giorni (su ciò specula Stalin) e del resto alla riunione allargata del 16/29 uno era già passato. In quella, mentre le date incalzavano, e Zinoviev e Kamenev tentavano di far rinviare tutto almeno fino alla riunione del Congresso, Stalin divagò senza proporre date. La grave situazione fu sciolta dai capi del Comitato Panrusso, non ancora bolscevico: costoro decisero di spostare il congresso dei Soviet al 25 ottobre/7 novembre. Quei cinque giorni di più bastavano al Comitato Militare Rivoluzionario. Ma intanto la questione fu complicata dall'atteggiamento del “Rabocij Put” [giornale bolscevico – NdR], che pur non ponendosi contro Lenin disse che era troppa l'asprezza del suo articolo contro Kamenev e Zinoviev. Il 16/29 fu anche deciso di organizzare un “Centro rivoluzionario militare” del Partito, con Sverdlov, Stalin, Uritsky, Dzerginsky e Bubnov. Stalin ha in seguito gonfiata l'opera di questo centro, per vari anni a detta di Trotsky dimenticato, e che del resto nella decisione di pugno di Lenin doveva far parte del Comitato militare del Soviet, pacifico protagonista dell'azione. Non ci diffonderemo su questa poco edificante questione: non certo Trotsky è quello che inventa, e del resto stanno con lui i documenti che cita e la generale notorietà sulla sua azione, e il riconoscimento di essa da parte di Lenin e di migliaia di partecipanti a quelle giornate (6).

 

103 - La suprema ora

Lenin scrive l'ultima storica lettera la sera del 24 ottobre/6 novembre: pare che nella stessa giornata, e prima di riceverla, il Comitato Centrale decidesse l'azione. Nel protocollo Trotsky fa le proposte e comunicazioni fondamentali: Stalin, assente, non ha mai detto il perché. La storia ufficiale della sua partecipazione - sebbene né Trotsky né alcun altro lo abbia mai tacciato di poco coraggio - è fatta non di acciaio, ma di materia plastica. A noi interessa più che il dettaglio delle ore e degli scontri, che è da molte fonti ben noto, la valutazione di Lenin sulla fiammeggiante urgenza della situazione. “Compagni, ogni ritardo nell'insurrezione equivale veramente alla morte. Voglio con tutte le mie forze convincere i compagni che ora tutto è sospeso ad un filo, che sono all'ordine del giorno questioni che non sono risolte da conferenze né da congressi (nemmeno da congressi dei Soviet), ma esclusivamente dai popoli, dalle masse, dalla lotta delle masse armate”.

“Bisogna a qualsiasi costo, stasera, stanotte, arrestare il governo dopo aver disarmato (e sconfitto se opporranno resistenza) gli junker ecc.”.

“Non si può attendere! Tutto può essere perduto!”

“Chi deve prendere il potere? Questo ora non ha importanza. Lo prenda il Comitato Militare Rivoluzionario o 'un'altra istituzione' che dichiari di volerlo consegnare ai veri rappresentanti degli interessi del popolo, dell'esercito, dei contadini”.

“Non lasciare il potere nelle mani di Kerensky e Co. fino al 25, in nessun caso: decidere la cosa immancabilmente stasera o stanotte”.

“Noi non prendiamo il potere contro i Soviet, ma per essi. La presa del potere è compito dell'insurrezione. Il suo scopo politico si preciserà dopo. Sarebbe la rovina o puro formalismo attendere l'incerto voto del 25”!

“Il governo esita. Bisogna finirlo ad ogni costo! Indugiare nell'azione equivale alla morte”! (7).

La notte del 25 ottobre/6 novembre Lenin viene allo Smolny. Alla mezzanotte tra il 6 e il 7 l'azione comincia. Alle 3 del pomeriggio Lenin appare al Soviet di Pietrogrado. Alle 9 cominciano le operazioni contro il Palazzo d'Inverno. Alle 11 di sera del 7 si apre il secondo Congresso panrusso dei Soviet. I social-traditori lo abbandonano. Il Congresso assume il potere. Nel giorno stesso il manifesto del partito bolscevico ai “Cittadini di Russia” aveva dichiarato che il governo provvisorio era finalmente stato deposto (8). Il grande ciclo della lotta era compiuto con la fase della presa insurrezionale del potere. Il partito era di fronte al suo programma. Ma, molto prima dei compiti sociali, questo stesso e la storia gli ponevano ancora tremendi compiti politici. Proletari e socialisti, questi secondi, al mille per mille. Ancora involti in grosse scorie democratiche e capitaliste, i primi.

 

104 - Il conquistato potere

Il nostro lavoro non è che un tentativo verso la stesura, non di una storia (nel senso che per i benpensanti si indica col termine di storiografia) ma di alcuni capitoli di scienza storica, termine che per tutto il moderno pensiero è una bestemmia. Il modernismo ostenta di aver cacciato da tutte le scienze, anche naturali e non umane (per il marxismo la scienza della specie umana è una scienza naturale), causalità e determinismo, solo perché molti problemi - da tempo per nulla recente - si affrontano e risolvono, quanto ad apparato matematico, col metodo probabilistico. Ossia non si assume di aver determinato, mediante leggi scoperte, il valore preciso del dato incognito, ma solo di avere stabilita la conoscenza di un certo campo di valori in cui il dato che si domanda dovrà con buona probabilità “aggirarsi”. A una conoscenza del futuro (meglio dire dell'incognito, potendo essere una incognita del passato cento volte più difficile a calcolare di una del futuro: poniamo la composizione chimica del nero che Cleopatra si dava sotto gli occhi, e l'ora fino al minuto secondo del prossimo eclisse di luna) rigorosa e puntuale, obbligata e certa, se ne sostituirebbe una elastica ed approssimata. Non qui svolgiamo il punto che questa alternativa si riduce ad una masturbazione filosofica da tempi smidollati: la certezza assoluta della soluzione non è che una finzione di comodo, una convenzione, che nella prassi della specie ha fatto sempre buon gioco, figliando fiammeggiante potere di conoscenza, come il classico “buscar oriente per occidente” [le celebri parole di Cristoforo Colombo, che riassumono il senso della sua ipotesi di viaggio - NdR], come l'“altissimum planetam tergeminum observavi” di Galileo, che primo adocchiò l'anellato Saturno. La sicurezza matematica non è che un espediente per evitare di pigliar cantonate troppo in pieno; la collettiva dotazione di esperienza della specie, che chiamiamo nella storia religione, filosofia, empirismo, scienza, è un edificio elevato con tante pietre, su ognuna delle quali si può scrivere: individuale fesseria. È così che a noi parrebbe un gran risultato se si verificasse la previsione che la terza guerra mondiale avverrà intorno al 1975, a tre quarti del secolo, e non sarà preceduta da una generale guerra civile tra proletariato e capitalismo nei paesi avanzati di Occidente, offrendo soltanto la possibilità di questo grandioso evento. E saremmo quindi disposti ad ammettere che una tale cifra non si può ricavare da nessuna equazione (troppo vaga quella 1945 - 1918 + 1945 = 1972) ed è soltanto il risultato di induzioni probabilistiche. Nel «Dialogato» (9) mostrammo che in tale profezia collimavano il pensiero di Stalin, quello dell'economista liberale Corbino, e quello della assai piccola ed assai anonima sinistra marxista ortodossa. Questa digressione serve al rilievo che naturalmente siamo anche noi influenzati dal modo tradizionale di trattare l'argomento, e come siamo vittime dell'abuso dei nomi dei personaggi illustri, così lo siamo di quello della mania delle date “matematiche”. Trattando Russia svolgemmo alla riunione di Bologna una prima parte che saggiava l'esposizione marxista della storia di quel paese fino alla grande Rivoluzione. Nelle riunioni di Napoli e Genova siamo passati al tema dell'attuale struttura russa, e il contenuto di tale esposizione si divide in due parti: la lotta per il potere nelle due rivoluzioni, e quella più specialmente diretta al tema: ossia a provare la tesi che la società russa di oggi è capitalista in giovane sviluppo, non socialista. Giunti al 26 ottobre/8 novembre del 1917 dovremmo chiudere di colpo il primo argomento: i bolscevichi hanno preso il potere. Eccoli alla prova: Come hanno governato? Come hanno attuato il loro programma? È indubbio che nel marxismo il possesso del potere è un mezzo, non un fine - una partenza, non un arrivo. Ma numerosi argomenti restano, che sono ancora nel raggio della lotta per il potere, e non in quello della forma sociale, cui il trapasso di esso ha aperta la strada.

 

105 - La luce di ottobre

I marxisti non avrebbero ragione di commemorare date a giorni fissi, è sicuro, ma non è delitto se lo fanno: quella tale avanzata alla conoscenza di specie, collettiva, si è fatta, come testé ricordato, congegnando insieme materiali eterogenei, piccole sciocchezze e grandi ingenuità, soprattutto clamorose contraddizioni, girando in labirinti ove non si incontrano Arianne. E solo alla fine di una corsa millenaria, e molto oltre questo nostro conato, che non può procedere senza intoppi e insuccessi, il “Filo del Tempo” sarà trovato. Da molto più di un secolo lo si snoda dal fuso, ma solo in esso sta il miracolo, che più dei luminari del mondo ufficiale può segnare la giusta via il fesso qualunque; per la superiorità che ha l'ultimo timoniere con l'occhio alla bussola magnetica sul dantesco magnifico Ulisse, che non fermò il “folle volo” verso l'ignoto, “per seguir virtute e conoscenza”, fino che il mare, sopra di lui coi suoi sacrilego, non fu richiuso. Ha quindi una grande portata il martellare la data del 26 ottobre vecchio stile come uno svolto istantaneo, perché così si sottolinea una primaria lezione storica: quella contenuta nelle lettere di Lenin che invocano di non più attendere un giorno e nemmeno poche ore per rovesciare in Pietrogrado il governo Kerensky. In effetti questa grande verità, ossia che il partito deve saper scorgere il momento, determinato nella storia, tra i rarissimi in cui la prassi si capovolge e la volontà collettiva gettata nella bilancia la fa traboccare, non toglie che la lotta continui a lungo dopo quello svolto, eretto a simbolo: nel resto della Russia, nelle immense province, tra i reparti militari. E non toglie che, anche dopo la prima conquista ripercossa dalla capitale a tutto il paese ancora libero dalla tedesca invasione, la lotta continui nella liquidazione della guerra, nella eliminazione dell'ultimo partito alleato, il socialista rivoluzionario di sinistra, e della Assemblea Costituente, e nella resistenza di vari anni a ribellioni interne e a spedizioni di guerra civile scagliate sulla nascente repubblica proletaria. La lezione contenuta in questi dati della storia è tanto più grandiosa, in quanto il contenuto di queste imprese è totalmente di classe, e consacra il nome di socialista e comunista alla rivoluzione di Ottobre e allo Stato dei Soviet diretti dal partito bolscevico, in tutta la sua azione politica, in quanto ed in tanto questa ha un centro solo, non in un sistema di misure per governare la Russia e amministrarla, ma nella inesausta lotta per la Rivoluzione comunista di Europa. Più dura, difficile e complessa è la lezione che deriva dallo studio delle misure, per così dire, di amministrazione interna. Più ardua la sua utilizzazione rivoluzionaria, che si raggiunge solo compiendo lo sforzo di ammettere che un tale compito “russo”, quando la rivoluzione occidentale declina, ha per massima parte contenuto non socialista. Importano dunque molto ancora vari argomenti, che precedono una tale dimostrazione.

 

106 - Distruzione dello Stato

Lo stato di classe è una macchina immensa, caratterizzata dalla esistenza di un “comando” centrale unico. È venuto il momento, come dice Lenin alla fine del classico Stato e Rivoluzione, di giustapporre la prassi alla dottrina. Ogni stato è definito, in Engels, da un preciso territorio e dalla natura della classe dominante. È dunque definito da una capitale dove si aduna il governo, che è in marxismo definito “il comitato di amministrazione degli interessi della classe dominante”.

Non sfugge a tale definizione il trapasso dal potere feudale a quello borghese nemmeno in Russia: una macchina di dominio deve sostituire un'altra, e ciò può avvenire solo con una cruenta lotta, che si svolge nel febbraio del 1917. Ma è inevitabile che in questa fase venga a galla la teoria politica, del tutto e diametralmente opposta, che in tutte le rivoluzioni storiche ha dissimulato il carattere del passaggio da feudalesimo a capitalismo. Si afferma di distruggere il dispotico potere centrale di una classe, che si configura in quello di un monarca e di una dinastia, non per sostituirvi il governo di una nuova classe dominante contro un'altra, ma per costruire uno Stato, un governo ed un potere che non esprimano la soggezione di una parte della società ad un'altra classe governante bensì si fondino su “tutto il popolo”. Il fatto più grande storicamente è che, là dove fatalmente si dovevano pagare i maggiori tributi a questa interpretazione democratica della rivoluzione, che come nelle rivoluzioni europee si adagiava bene su un grande campo di reali esigenze - ed anche tenaci illusioni - di vasti strati sociali, ivi una serie di fatti storici positivi mise in luce, per il mondo proletario, la robustezza della dinamica rivoluzionaria marxista fondata sulle classi, la dittatura di una di esse, la violentazione delle libertà delle altre e dei loro partiti fino al terrore, fatto del resto inseparabile da tutte le rivoluzioni anche puramente borghesi. Uno dei primi di questi fatti è la rottura del vecchio apparato statale che la classe assurta al potere deve operare senza esitazioni: lezione già tratta da Carlo Marx dalle lotte in Francia, e dalla Comune di Parigi, che si installò contro Versailles all'Hôtel de Ville, pose macchina contro macchina armata, soffocò anche nel terrore, prima di venire assassinata, i fisici membri della classe nemica, ed ebbe dal proletariato rivoluzionario mondiale, dopo vinta, il formidabile attestato che, se ebbe colpe, non fu di essere stata troppo feroce ma di non esserlo stata abbastanza. Non è la teoria che qui si debba ancora una volta disegnare, ma solo si devono presentare le sue conferme, le cui notizie facevano balzare come ebbri di luce e di gioia i rivoluzionari di occidente. Il governo borghese è arrestato al Palazzo d'Inverno, ma i suoi uffici non vengono, col loro personale, posti agli ordini di nuovi capi di governo; essi sono chiusi e la guardia rossa bivacca nelle sale. Il nuovo governo si forma fin dalle prime cellule con nuova materia-uomo all'istituto Smolny, sede dei bolscevichi. Trotsky racconta un episodio, che voleva sfottere Stalin ma che a tutti fa onore. Questi era stato nominato Commissario del Popolo alle Nazionalità (il nome di Commissario del Popolo al posto di Ministro fu, pare, proposto da Lenin: indubbiamente esso definisce - sunt nomina rerum - una dittatura democratica: in Germania sarebbero stati Commissari operai, o del proletariato). Ma quel che è grande è il piantar baracca nuova, bruciando la vecchia. Un compagno bolscevico di tacca comune, ma di pasta adatta, apostrofa per le stanze dello Smolny Giuseppe Stalin: Hai un commissariato, compagno? No, rispose il secondo. Lasciati servire: non mi serve che un mandato. Stalin lo scrisse su un pezzo di carta e lo fece firmare nella sala del Consiglio (una comune stanza ove un tramezzo di legno divideva dal locale del dattilografo e del telefono). Petskovsky in una delle stanze dello Smolny già occupata trovò un tavolo libero e lo spinse contro il muro, attaccando a questo una scritta: Commissariato del Popolo per le Nazionalità. A tutto questo aggiunse due sedie. “Compagno Stalin, non abbiamo un soldo sul nostro conto” – “Occorre molto?” – “Per cominciare un migliaio di rubli” – “Andate da Trotsky: ha del danaro che ha preso al Ministero degli Esteri”. Aggiunse Petskovsky che con regolare ricevuta prese da Trotsky in prestito tremila rubli, che probabilmente mai il Commissariato delle Nazionalità ha restituito a quello degli Esteri...(10).Sulle tombe dei comunardi fucilati aleggia l'ineguagliabile elogio funebre di Marx, che li assegna alla storia, ma li accusa di non avere, ingenuamente, fatto saltare i forzieri della Banca di Francia. La Rivoluzione non ha il diritto di avanzare a mani pulite.


Note:
1. Cfr. ora I bolscevichi e la rivoluzione d’ottobre – Verbali delle sedute del C.C. del P.O.S.D.R. (b) dall’agosto 1917 al febbraio 1918, Roma Editori Riuniti, 1962.

2. Il marxismo e l’insurrezione, In Opere, XXVI, pagg.12–17. Ma cfr. anche la lettera precedente, del 12-14/25-27 settembre, “I bolscevichi devono prendere il potere”, che la anticipa, pagg. 9-11, e l’articolo “La crisi è matura”, di poco successivo (pagg. 63-71).

3. “Consigli di un assente”, in Opere, XXVI, pag. 166-167. L'1 ottobre aveva scritto:
”Temporeggiare è un delitto... Attendere è un crimine verso la rivoluzione” (ivi, pagg. 125-126).

4. “Lettera ai membri del Partito bolscevico”, 18-(31) ottobre 1917, in Lenin, Opere, XXVI, pagg. 201-204.

5. I protocolli ne danno la piena conferma: cfr. la riunione del C.C. del 7/20 ottobre, in I bolscevichi e la rivoluzione di Ottobre, cit., protocollo 24, pag. 185.

6. Nei protocolli si legge infatti: “Questo centro [il Centro rivoluzionario militare] entrerà a far parte del Comitato rivoluzionario del Soviet” (cfr. I bolscevichi e la rivoluzione di Ottobre”, cit., pag. 221).

7. “Lettera ai membri del C.C.”, 24 ott. (6 nov.) 1917, in Lenin, Opere, XXVI, pagg. 220-221. Rimandiamo allo stesso volume per l'intera serie delle incalzanti lettere di Lenin fino all'insurrezione, e al citato I bolscevichi e la rivoluzione d'Ottobre per le sedute del Comitato Centrale e gli scambi di lettere con Kamenev e Zinoviev.

8. Cfr. Lenin, Opere, XXVI, pag. 224.

9. Si tratta del Dialogato con Stalin,  che apparve sulle pagine di questo giornale nell’autunno 1952 in polemica diretta con i Problemi del socialismo nell’URSS da poco dati alla luce da Stalin per “dimostrare” la compatibilità fra socialismo e... mercato.

8. L. Trotsky, Stalin, Milano, 1947, pagg. 338-339.

 

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NOSTRI TESTI SULLA "QUESTIONE ISRAELE-PALESTINA"
  • Israele: In Palestina, il conflitto arabo-ebreo ( Prometeo, n°96,1933)
  • Israele: Note internazionali: Uno sciopero in Palestina, il problema "nazionale" ebreo ( Prometeo, n°105, 1934)
  • I conflitti in Palestina ( Prometeo, n°131,1935)
  • Gli avvenimenti in Palestina (Prometeo, n°132,1935)
  • Israele: Fraternità pelosa ( Il programma comunista, n°21, 1960)
  • Israele: Il conflitto nel Medioriente alla riunione emiliano-romagnola (Il programma comunista, n°17, 1967)
  • Israele: Nel baraccone nazional-comunista: vie nazionali, blocco con la borghesia ( Il programma comunista, n°20, 1967)
  • Israele: Detto in poche righe ( Il programma comunista, n°18, 1968)
  • Israele: Spigolature ( Il programma comunista, n°20, 1968)
  • Israele: Un grosso affare ( Il programma comunista, n°18, 1969)
  • Incrinature nel blocco delle classi in Israele(Il Programma comunista, n°17, 1971)
  • Curdi palestinesi(Il Programma comunista, n°7, 1975 )
  • Dove va la resistenza palestinese? (I)(Il Programma comunista, n°17, 1977)
  • Dove va la resistenza palestinese? (II)(Il Programma comunista, n°18, 1977)
  • Dove va la resistenza palestinese? (III)(Il Programma comunista, n°19, 1977)
  • Il lungo calvario della trasformazione dei contadini palestinesi in proletari(Il Programma comunista, n°20-21-22, 1979).
  • In rivolta le indomabili masse sfruttate palestinesi ( E' nuovamente l'ora di Gaza e della Cisgiordania)(Il Programma comunista, n°8, 1982)
  • Cannibalismo dello Stato colonialmercenario di Israele(Il Programma comunista, n°12, 1982)
  • Le masse oppresse palestinesi e libanesi sole di fronte ai cannibali dell'ordine borghese internazionale(Il Programma comunista, n°12, 1982)
  • La lotta delle masse oppresse palestinesi e libanesi è anche la nostra lotta- volantino(Il Programma comunista, n°13, 1982)
  • Per lo sbocco proletario e classista della lotta delle masse oppresse palestinesi e di tutto il Medioriente(Il Programma comunista, n°14, 1982)
  • La lotta nazionale dei proletari palestinesi(Il Programma comunista, n°12, 1982)
  • Sull'oppressione e la discriminazione dei proletari palestinesi(Il Programma comunista, n°19, 1982)
  • La lotta nazionale delle masse palerstinesi nel quadro del movimento sociale in Medioriente(Il Programma comunista, n°20, 1982)
  • Il ginepraio del Libano e la sorte delle masse palestinesi ( Il programma comunista, n°2, 1984)
  • La questione palestinese al bivio ( Il programma comunista, n°1, 1988)
  • Il nostro messaggio ai proletari palestinesi ( Il programma comunista, n°2, 1989)
  • Una diversa prospettiva per le masse proletarie (Il programma comunista, n°5, 1993)
  • La questione palestinese e il movimento operaio internazionale ( Il programma comunista, n°9, 2000)
  • Gaza, o delle patrie galere (Il programma comunista, n. 2, 2008)
  • Israele e Palestina: terrorismo di Stato e disfattismo proletario ( Il programma comunista, n°1, 2009)
  • A Gaza, macelleria imperialista contro il proletariato ( Il programma comunista, n°1, 2009)
  • Il nemico dei proletari palestinesi è a Gaza City ( Il programma comunista, n°1, 2013)
  • Per uscire dall’insanguinato vicolo cieco mediorientale (Il programma comunista, n° 5, 2014)
  • Guerre e trafficanti d’armi in Medioriente (Il programma comunista, n°5, 2014)
  • Gaza: un ennesimo macello insanguina il Medioriente-Volantino (Il programma comunista, n°5, 2014)
  • L’alleanza delle borghesie israeliana e palestinese contro il proletariato (Il programma comunista, n°6, 2014)
  • Israele e Palestina: terrorismo di Stato e disfattismo proletario  ( Il programma comunista, n°3, 2021)
  • A fianco dei proletari e delle proletarie palestinesi! ( Il programma comunista, n°5-6, 2023)
  • Il proletariato palestinese nella tagliola infame dei nazionalismi ( Il programma comunista, n°2, 2024)
  • Note contro-corrente su Hamas e il “movimento palestinese” ( Il programma comunista, n°4, 2024)
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