La cadenza per il momento bimestrale di questo nostro giornale ci ha impedito di affrontare tempestivamente la vicenda. Ma non importa: lo facciamo adesso, anche perché le considerazioni che intendiamo fare varranno (purtroppo, vien da dire!) anche per il prossimo futuro – ci vorrà infatti ancora parecchio tempo prima che i proletari riescano a scrollarsi di dosso le illusioni e la pratica democratica, castratrice delle loro lotte.
La vicenda dovrebbe essere abbastanza nota, ma la riassumiamo qui.
All’impianto Amazon di Bessemer (Alabama), il referendum indetto dalla Retail, Wholesale and Department Store Union (RWDSU) per decidere sull’apertura d’una sezione locale ha avuto esiti negativi: su 3215 voti (poco più della metà dei lavoratori impiegati, per l’85% afro-americani), i favorevoli sono stati 738, i contrari 1798. Un fallimento per la RWDSU e per i lavoratori, che hanno spesso lamentato condizioni di lavoro pessime, ritmi impossibili, ricatti padronali: insomma, uno sfruttamento sempre più intenso e spietato, che accomuna i lavoratori Amazon ai loro compagni in migliaia e migliaia di altre situazioni lavorative, negli Stati Uniti come altrove. In una parola, lo sfruttamento del Capitale alla ricerca incessante di profitti.
Conosciuto il risultato negativo, il sindacato ha lamentato conteggi equivoci dei voti, continue pressioni sui lavoratori da parte dell’azienda, spregiudicata attività anti-sindacale, l’offerta di una carota retributiva e assistenziale, e via di seguito. Come se fosse una novità! Il problema è un altro.
Il metodo del referendum (oltre tutto espresso per posta e protratto sull’arco di due mesi!) è la negazione completa della forza potenziale e in atto dei lavoratori. Solo un’assemblea in cui siano presenti, fisicamente, a fianco a fianco, i lavoratori, può far sentire loro il senso reale, materiale, della propria forza collettiva. Certo non la somma di “opinioni” personali, espresse nell’isolamento dell’urna o, peggio ancora, nella scheda inviata per posta, situazioni entrambe su cui si esercitano ben altre pressioni che non quelle padronali (che dovrebbero essere date per scontate da un sindacato che dovrebbe essere un organismo combattivo): la paura del futuro, la situazione familiare, le condizioni di vita, la macina terribile di una quotidianità di individui isolati e bombardati dai media e dall’“opinione pubblica”, dai partiti, dalle chiese, dalle scuole, dall’ideologia dominante...
Ma questa forza collettiva non scende dal cielo, e questo è il secondo punto da tenere in considerazione, a fronte dell’episodio di Bessemer (Alabama) e a tutti gli altri episodi di lotte proletarie in giro per il mondo, attualmente e in futuro. La nascita di un’organizzazione di difesa economica può solo essere, al contempo, frutto e pre-condizione di ogni lotta: frutto, perché quello della lotta è il momento in cui maggiormente si esprime la forza unitaria adatta a colpire il padronato (privato o di Stato non cambia nulla!); pre-condizione, perché la continuità organizzativa è di fondamentale importanza per la conservazione di questa forza e il peso che essa deve esercitare sull'avversario di classe. Certo non lo è la mobilitazione pubblica con il solito carrozzone di big della politica, dello spettacolo e dello sport, accorsi per… farsi vedere al fianco dei lavoratori! D’altra parte, il sindacalismo USA non ha di sicuro la faccia pulita necessaria a convincere i lavoratori ad affidarsi a esso: la corruzione a ogni livello è storicamente ben nota, e altrettanto lo sono gli equivoci legami più o meno sotterranei con il sottobosco illegale o quello politico (spesso strettamente intrecciati insieme…), mentre le quote d’iscrizione si possono aggirare anche sui 500 dollari l’anno. Ci sarà pure un motivo se il tasso di sindacalizzazione non fa che scendere (nel 2020 è stato del 10,8%, con addirittura un 6,3% nel settore privato, rispetto al 20,1 del 1983 – dati riportati dal Corriere della Sera dell’11 aprile u.s.)!...
Il “caso Amazon di Bessemer” è una sconfitta, non ci sono dubbi. Altre ne seguiranno, è inevitabile. Ma la lotta di classe non scompare, non può scomparire, perché è la conseguenza materialisticamente inaggirabile delle leggi che regolano il modo di produzione capitalistico. La strada per una reale ripresa classista è ancora lunga e accidentata: i comunisti saranno sempre al fianco dei lavoratori per aiutarli a sgombrare il terreno dai macigni che la classe dominante, attraverso i suoi strumenti di dominio (compreso il sindacalismo di regime), non cessa mai di disporre lungo il cammino.
23/06/2021