È dalla fine della Seconda guerra mondiale (il secondo massacro inter-imperialista, per essere più precisi) che il Capitale non ha smesso di insanguinare il pianeta, oltre a metterlo a soqquadro con i suoi veleni e le sue necessità di auto-valorizzazione. L'elenco delle guerre piccole e grandi che si sono succedute da allora è impressionante e dimostra, anche solo con le nere parole scritte e stampate, che il suo dominio da tempo è solo una lunga agonia distruttiva, un bagno di sangue che cresce e dilaga anno dopo anno. Quello che succede in Ucraina è l'ultimo “episodio” in ordine di tempo: ma un “episodio” che, per dimensioni e implicazioni, può solo fungere da anticamera ad altri, fino allo scoppio di un terzo massacro inter-imperialista di dimensioni mondiali.
Solo la forza del proletariato, la stessa classe che viene sacrificata in battaglia e nelle retrovie, può fermare questo scempio sanguinoso. Per ritrovare questa forza, due condizioni sono indispensabili: che il proletariato riconquisti finalmente, sul campo delle molte battaglie che è costretto a combattere per sopravvivere, un'autonomia di lotta nei confronti del suo nemico storico, la borghesia con il suo Stato e le istituzioni che la rappresentano e che come una piovra lo tengono stretto fino a strangolarlo; e che le sue avanguardie si organizzino, raggiungano e rafforzino il partito rivoluzionario che non cade dal cielo (come in troppi si illudono che avvenga), ma che ha lavorato e lavora con tenacia per difenderlo e prepararlo alla rivoluzione, alla presa del potere, all’instaurazione della dittatura proletaria, indispensabile e transitorio strumento per abbattere e buttare nella spazzatura della storia il Capitale e preparare la società senza classi, il comunismo.
Questa strada è lunga e irta di difficoltà: ma è l'unica possibile. Tappa inevitabile e necessaria è quella del disfattismo rivoluzionario: inevitabile, perché inevitabile è la guerra inter-imperialista che si prepara, anche e soprattutto in tempo di “pace” (quell’illusorio silenzio, fra uno scoppio e l'altro, che “pace” in realtà non è). Cioè, il rifiuto collettivo e organizzato di obbedire alle esigenze militari, politiche, economiche, del “proprio” capitale nazionale e trasformare il conflitto, incipiente o esploso, in guerra di classe, in guerra civile, in guerra per il potere. Quella parola d'ordine deve tornare a essere il grido di battaglia proletario.
Sappiamo però che, per non ridurlo a uno slogan vuoto che mette la coscienza a posto ai rivoluzionari da operetta, quel grido di battaglia va preparato fin dai momenti in cui questo sbocco appare lontano e quasi irraggiungibile – come appare oggi a chi non creda alle fanfaronate di quelli che prendono lucciole per lanterne e proclamano che “le condizioni oggettive sono già mature e manca solo la direzione rivoluzionaria”. No, le cose non stanno così: lo dimostra il solo fatto che, in quasi otto mesi di guerra in Ucraina, sono sostanzialmente inesistenti gli atti di autentico disfattismo rivoluzionario – quelli che, per esempio, in tutte le parti belligeranti non mancarono durante la Prima guerra mondiale: renitenza alla leva e diserzioni di massa, rifiuto di obbedire agli ordini, dialogo e fraternizzazione fra le trincee opposte, e soprattutto scioperi nelle città devastate dai bombardamenti… insomma, quel che si verificò durante la Prima guerra mondiale e che aprì la strada all’Ottobre Rosso. A meno che si voglia a tutti i costi dichiarare tali gli sparsi e sparuti cortei belanti e preteschi che hanno attraversato tutto il mondo dietro gli striscioni di un generico “no alla guerra”!...
L'osceno vampiro che ha nome Capitale non muore da solo. La sua agonia è selvaggia, distruttiva e autodistruttiva. È necessario dunque piantargli il paletto acuminato nel cuore: una certezza che ci viene dal lontano, ma rosso e fiammeggiante, 1848. E quest'esito va preparato, come va preparata la guerra di classe alla guerra imperialista, a partire dalla realtà che è quella di un proletariato ancora schiacciato e paralizzato sotto decenni di sconfitte micidiali e avvelenato da tutti i fumi ideologici della cultura dominante. Certo, la vecchia talpa lavora per noi: le crisi (per ora solo economiche e finanziarie, ma presto sicuramente sociali) si susseguono, “garanzie” e “diritti” si volatilizzano come i pochi risparmi dei proletari nel giro di poche mattine, miseria e strazio di vivere crescono a vista d'occhio, gli eserciti di proletari e proletarizzati in fuga dalla morte per fame, guerre e
repressione si gonfiano a dismisura, qua e là esplodono le ribellioni... Il lavoro per i comunisti non manca: ma va svolto tenendo bene i piedi per terra!
E allora, perché la parola d'ordine del disfattismo rivoluzionario non resti una bella storia fine a se stessa, ecco che quello sbocco va preparato in quello che è il nostro oggi. Cominciamo dunque dall'ABC e intorno a esso operiamo perché, nella materialità dei fatti, torni a vivere quell'antagonismo di classe che oggi fatica ancora a emergere. Rilanciamo i capisaldi operativi di base per riprendere e riorganizzare il disfattismo rivoluzionario:
- Rifiuto di accettare sacrifici economici e sociali in nome dell’“economia nazionale”
- Organizzazione della lotta di difesa delle condizioni di vita e di lavoro dei proletari per colpire duramente l’impegno bellico della borghesia
- Rottura aperta della pace sociale e ritorno deciso ai metodi e agli obiettivi della lotta di classe, l'unica reale solidarietà internazionalista dei proletari tanto delle metropoli quanto delle periferie imperialiste
- Rifiuto di ogni partigianesimo (nazionalista, religioso, patriottico, mercenario, umanitario, pacifista) a favore di uno qualsiasi dei fronti imperialisti.
- Azioni di sciopero fino allo sciopero generale contro ogni tipo di mobilitazione e propaganda bellica.
- Disobbedire in maniera organizzata agli ordini delle gerarchie militari, lasciare che il “proprio” Stato sia sconfitto, tenere ben strette le armi per difendersi e liberarsi dai tentacoli delle istituzioni borghesi.
Settembre 2022