Non servono molte parole: solo patetici illusi non riescono a vedere che, nelle profondità dell'economia capitalistica in crisi da decenni fra alti e bassi, si sta preparando un nuovo conflitto generalizzato, ancor più devastante delle due guerre mondiali passate e delle innumerevoli “guerre minori” che le hanno precedute e seguite: ultime della serie, quella in Ucraina e il macello di proletari palestinesi a Gaza e dintorni.
Le guerre imperialiste non sono il risultato della “volontà di potenza” o della “follia omicida” di questo o quel “dittatore” o – peggio ancora – di questo o quel “popolo”, più o meno “eletto”. Sono il prodotto delle dinamiche stesse del capitale, obbligato a ricorrervi nel vano tentativo di rimettere in moto, attraverso la distruzione di ciò che s’è prodotto in eccesso (forza-lavoro inclusa), il meccanismo inceppato dell'accumulazione. Nell'epoca dell'imperialismo, non ci sono “paesi aggressori” e “paesi aggrediti”, “Stati canaglia” e “Stati amici”: ad aggredirsi l'un l'altra sono le varie borghesie nazionali che continuano così – con mezzi sempre più spietati ed estremi – la “pacifica” competizione (leggi: guerra commerciale!) su cui si fonda il modo di produzione capitalistico. Due guerre mondiali e decine e decine di sanguinari conflitti “minori” dovrebbero averlo insegnato! Davanti al prossimo conflitto che si prepara, non un solo proletario, non una sola proletaria, al servizio degli interessi delle classi dominanti, dei loro Stati, dei loro eserciti!
Le “patrie”, le “nazioni”, le “religioni” lasciamole ai borghesi e ai loro fedeli servitori piccolo-borghesi. Noi non abbiamo “patrie” o “nazioni” da difendere o “religioni” da propagandare: la nostra guerra può solo essere la guerra di classe, per conquistare infine il potere e dar vita alla società senza classi, senza sfruttati e sfruttatori. Organizziamoci dunque, fin da oggi, per rompere l’unità nazionale e opporci alle politiche guerrafondaie di tutti i governi! Rilanciamo con forza la parola d'ordine del disfattismo rivoluzionario e della fratellanza proletaria al di sopra di ogni barriera e frontiera, riempiendola però di contenuti operativi:
Lotta aperta per la difesa delle condizioni di vita e di lavoro, con cui colpire duramente gli interessi economici e politici della borghesia.
Rifiuto di accettare sacrifici economici e sociali in nome dell'economia nazionale.
Rottura aperta della pace sociale e ritorno deciso ai metodi e agli obiettivi della lotta di classe, unica reale e praticabile solidarietà internazionalista, nelle metropoli come nelle periferie imperialiste.
Rifiuto di ogni complice partigianesimo (nazionalista, religioso, mercenario, umanitario, socialisteggiante, pacifista...) a favore di uno qualsiasi degli Stati o fronti di Stati coinvolti nelle guerre.
Azioni di sciopero economico e sociale che portino a veri scioperi generali con cui paralizzare la vita nazionale e aprire la strada a scioperi politici, atti a rallentare e impedire ogni mobilitazione e propaganda bellica.
Solo se le avanguardie di lotta della nostra classe si organizzeranno su questi contenuti (e non soltanto sui pur necessari ma limitati terreni sindacale, ambientale, sociale, ecc...), ci si potrà preparare ad azioni di aperto antimilitarismo e disfattismo anti-patriottico:
Lasciare che il proprio Stato e i suoi alleati siano sconfitti, disobbedire in maniera organizzata alle gerarchie militari, fraternizzare con i nostri fratelli di classe (essi pure intrappolati nelle “patrie”), tenere strette le armi e i sistemi d'arma per difendersi prima e liberarsi poi dai tentacoli delle istituzioni borghesi: trasformare la guerra tra gli Stati in guerra dentro gli Stati, in guerra civile, in guerra rivoluzionaria.