Dopo l’ubriacatura, ci si risveglia con il mal di testa. Così, non appena conosciuti i risultati della tornata elettorale, la “sinistra” francese ha ballato tutta la notte del 9 luglio scorso, suscitando l’invidia degli aspiranti imitatori in giro per il mondo che si propongono di seguirla al più presto; ma poi... Ma poi, Macron o non Macron, Mélanchon o non Mélanchon, LePen o non LePen, ecco che bisogna fare i conti con le dure leggi del Capitale, cui gli omini e le donnine del Grande Avanspettacolo Democratico debbono inchinarsi obbedienti. E allora sì che il mal di testa impera!
Nella fregola ubriaca dell’unità nazionale a tutti i costi, di destra come di “sinistra”, ci si dimentica facilmente del passato: se ne coglie solo la superficiale retorica, niente di più. Dunque, proviamo a ricordarlo noi.
Quando, negli anni ’30 del ‘900, in Francia come in Belgio (ma anche altrove, in forme apparentemente diverse), con il contributo decisivo dell’Internazionale stalinizzata scattarono i riflessi condizionati dell’“allarme fascismo”, la parola d’ordine fu appunto quella della creazione di un “Fronte Popolare”: vale a dire, un’accozzaglia di partiti (Sezione Francese dell’Internazionale Socialista o SFIO, Partito Comunista Francese, Partito Radical-Socialista, Unione Socialista Repubblicana), residui infetti della social-democrazia, sedicenti rappresentanti di un movimento operaio disorientato e sconfitto dopo le grandi battaglie del dopoguerra e degli anni ‘20. In quei frangenti, i nostri compagni in Francia e Belgio, sopravvissuti alle galere, al confino, all’emigrazione (e alle fisiche eliminazioni), seppero condurre una vigorosa battaglia contro l’ennesima illusione elettorale. In articoli e volantini, denunciarono l’orrendo inganno che si stava preparando, in quegli anni che a grandi passi andavano verso il secondo macello mondiale: la sempre incombente “minaccia fascista”, per “combattere” la quale bisognava “turarsi il naso” e “prendersi per mano” con i nemici di ieri.
Come andò a finire si sa: tra guerre e guerricciole, il secondo macello mondiale venne comunque, con il solito martirio proletario. Alla fine, i regimi fascisti furono sconfitti grazie all’intervento delle “grandi democrazie occidentali”, e... E vinse il fascismo, come espressione e sostanza del dominio capitalistico. Il resto è noto, e giunge fino a noi.
A memoria del lavoro svolto dai nostri compagni e per la sua attualità, riproduciamo l’articolo “Il ‘fronte popolare’ all’opera”, uscito sul n.122 del 15/9/1935 della rivista di allora, “Prometeo”, diffusa per l’appunto in Francia e Belgio (oltre che, clandestinamente, in Italia). Ricordiamo innanzi tutto che:
- Marcel Cachin, socialista, fu interventista durante la Prima guerra mondiale (e tra i finanziatori del giornale di Mussolini “Il popolo d’Italia”!), poi uno dei fondatori del PCF nel 1920 e direttore praticamente a vita del suo organo “L’Humanité”; Pierre Laval, socialista, fu presidente del Consiglio dei Ministri per quattro volte tra il 1931 e il 1944; poi, appoggiò attivamente il regime di Vichy e dunque la collaborazione con la Germania nazista, e per questo fu processato e fucilato nel 1945; Édouard Daladier, membro per Partito Radical-Socialista, fu presidente del Consiglio nel 1933 e 1934. Bel campionario di figuri, a rappresentare il “Fronte Popolare”!
- Con i termini “centrismo” e “centristi” si usava allora definire il regime stalinista ormai affermatosi in Russia e tutti coloro che si identificavano con esso.
- Tra il luglio e l’agosto 1935, nei cantieri marittimi di Brest, Tolone, Le Havre, scoppiarono poderosi scioperi spontanei contro le misure anti-proletarie contenute nei cosiddetti Decreti Laval. “L’Humanité” s’affrettò a denunciarli come azioni di “provocatori”...
Il “fronte popolare” all’opera
Da Cachin a Daladier, cioè da quello che fu il Partito Comunista alla borghesia di “sinistra”, rappresentata dal partito Radical-Socialista, si è dichiarato e giurato che i diritti già manomessi degli operai erano sacri e inviolabili. Particolarmente, il centrismo era il più fegatoso nel voler dimostrare che le capriole, i compromessi, le rinunce al proprio programma comunista, erano fatte esclusivamente negli interessi... della classe proletaria. Questo nel periodo elettorale e dopo... in preparazione del nuovo periodo... sempre elettorale. Il fascismo ecco il nemico, e a questa minaccia si risponde non con una mobilitazione del proletariato contro le origini di questo pericolo, il capitalismo, ma con la difesa delle libertà imposte dalla possente borghesia francese cosiddetta democratica, attraverso un ibrido fronte unico al disopra delle classi rientrate dunque nel gioco delle forze del capitalismo. La guerra: l’incubo che pesa sull’umanità intera, alla quale il Partito Comunista doveva rispondere col rafforzamento dei legami internazionali delle masse oppresse, sole capaci d’impedire con la propria forza rivoluzionaria di classe i piani bellicosi di tutte le borghesia facendo sboccare questi movimenti sul piano più elevato della insurrezione proletaria, distruggendo così e per sempre i germi pestilenziali del macello che minaccia ancora una volta di sconvolgere il mondo. Ma questo partito, che fu comunista, trova che la propria borghesia è “pacifista” e che la minaccia di guerra viene dal di là delle... frontiere, ed allora s’invitano i proletari a riconoscere che hanno una “patria” da difendere, richiamandosi alle tradizioni del 1789, cioè proprio a quella fase di lotte fra due sistemi di oppressione e dalle quali la borghesia doveva uscire vittoriosa instaurando e consolidando il suo predominio di classe.
E nel demagogico strombazzamento, le grandi masse, stordite e disorientate, dopo momenti di esitazione, slittano per la china che porta al completo tradimento e che si esprime oggi nel convalidare gli armamenti della borghesia francese e nello schierarsi sotto il suo vessillo di guerra e di fame, al canto nazionale della “Marsigliese”. Raramente inganno più perfido e più cinicamente raffinato si era potuto registrare nella storia della società umana: tutte le lotte, tutte le esperienze, tutte le speranze della classe oppressa venivano ridicolizzate, schiantate con tratti di penna, sanzionando il compromesso finale fra i nuovi e vecchi traditori, e questo nell’interesse supremo del capitalismo. E così si costituiva il “fronte popolare” sotto la maschera demagogica dell’anti-fascismo, dichiarando alle masse di voler lottare per il “diritto al pane e alla libertà”...
Erano trascorsi pochi giorni dall’atto clamoroso e ufficiale di tradimento (il 14 luglio) che le carrettate dei decreti-legge Laval facevano la loro rumorosa apparizione. Tutti gli operai conoscono bene oggi gli effetti, la portata sociale di questi decreti. Ma la borghesia poteva permettersi questo nuovo attacco perché la garanzia le era stata offerta dai dirigenti di questo “fronte popolare” che essi avrebbero fatto di tutto per impedire ogni atto di ribellione da parte delle masse. Ed è sotto la maschera della lotta contro il fascismo e per il pane e la libertà che si consigliavano gli operai a lasciarsi affamare, con disciplina e con dignità. La ragione era che non bisognava fornire pretesti al fascismo e che il “fronte popolare” era sufficiente a fare rispettare le leggi e l’ordine del regime “democratico” capitalista. Ma la borghesia ed i capi del “fronte popolare” avevano fatto i conti senza l’oste, cioè senza l’antagonismo di classe maturante la coscienza rivoluzionaria del proletariato. Infatti, se la maggior parte delle manifestazioni dei salariati di stato avevano potuto svolgersi sotto il segno della calma e della dignità, questo non fu possibile a Brest ed a Tolone dove la provocazione e la brutalità della sbirraglia democratica dovevano determinare a loro volta una risposta spontanea e generosa di autentici proletari delle officine. E fu la lotta, impari è vero, dove all’arma perfezionata dello scherano l’operaio rispondeva con delle pietre e dei semplici bastoni. E questi proletari che offrivano a tutta la massa sfruttata l’esempio magnifico della lotta, quella vera, la lotta che fa tremare la borghesia e i suoi servi, la sola lotta atta a respingere gli attacchi del capitalismo ed a tenere a rispetto le bande fasciste, questi proletari che spontaneamente avevano reagito sul terreno di classe contro il capitalismo affamatore si attendevano che questo “fronte popolare” avesse fatta sua questa lotta estendendola e vivificandola: ma invece essi si videro prima isolati e poi sconfessati. Quello che non era riuscita a fare la polizia con la sua feroce violenza lo fecero magnificamente i dirigenti del “fronte popolare“ che, impotenti a predicare la calma, gettarono lo scompiglio e la sfiducia fra i proletari insorti, attraverso la velenosa insinuazione della “provocazione fascista” e degli “agenti provocatori”.
Alla canea sguinzagliata degli scriba della borghesia, che abbaiava furiosamente contro questi proletari che avevano osato difendere il loro pane e la loro vita, si univa quella dei pennivendoli e dei funzionari del “fronte popolare”. Il coro divenne unanime nel riconoscere che solo l’opera di pochi elementi “torbidi” aveva contribuito agli incidenti e che gli operai dei cantieri erano restati “calmi” ed “estranei” alla lotta. Gli elementi “torbidi”, la “schiuma”, erano fascisti e agenti provocatori pagati da Laval, in quanto gli operai non avrebbero mai osato difendersi dalle moschettate delle guardie mobili che in fondo considerano come loro “fratelli” (!) e i proletari non avrebbero mai strappato il tricolore, perché avevano manifestato all’ombra di questo il 14 luglio. Resoconto di un libello fascista? No! Comunicato di un partito che ancora osa denominarsi comunista. Eccolo: “Sono gli agenti del 6 febbraio che hanno avuto il ruolo di provocatori a Brest e a Tolone. Essi attaccarono i soldati, le guardie mobili, gli agenti di polizia, e vorrebbero far credere che sono i lavoratori che agiscono così, mentre questi ultimi considerano i soldati come dei fratelli e non vogliono tenersi nemiche la guardie mobili che sono figli di operai e di contadini. Essi, i fascisti, divulgano delle false notizie, cercano d’ingannare gli operai per farli cadere nell’agguato delle loro provocazioni. Oltraggiano il vessillo tricolore, che gli operai piazzarono alla loro testa al fianco di quello rosso, nella giornata del 14 luglio” (“L’Humanité”, 10/8/35).
A questa chiara quanto altrettanto infame posizione del canagliume stipendiato faceva seguito una commissione d’inchiesta per stabilire le responsabilità, come se ne potessero esistere all’infuori di quelle dei poteri statali. I parlamentari di “sinistra”, centristi compresi, hanno sudato sette camicie per imbrogliare gli operai facendo credere loro che elementi “torbidi” avevano premeditato l’aggressione contro gli inoffensivi agnellini della sbirraglia, rappresentante legittima dell’ordine stabilito. Ed in questo raffinato diversivo è l’autorità del governo borghese democratico che è presentata agli occhi delle masse come sacra ed inviolabile.
E l’opera di questi messeri è stata completa: al posto di organizzare movimenti di solidarietà e di protesta, cercando di congiungere ed unificare l’azione contro i decreti di fame e di miseria, di tutta la massa lavoratrice, si sono isolati questi movimenti definendoli di “natura sospetta” (“L’Humanité”, 10/8/35). I bonzi sindacali e gli eletti locali si sono prodigati non alla testa delle masse in rivolta, ma nel predicare la calma e la disciplina, e nello stesso tempo in cui gettavano lo scompiglio con la insidiosa formula “attenzione all’opera dei provocatori”...
È la china della resa senza condizioni, abilmente diretta da centristi, socialisti e radical-socialisti, riuniti nel “fronte popolare”. Oggi, davanti al governo dei decreti di fame Laval, domani davanti ad un governo diretto dall’ex primo ministro Daladier, dopodomani forse davanti al fascismo che, grazie all’opera disgregatrice e corruttrice dei bonzi traditori potrà impunemente passare alla completa distruzione di ogni forma di organizzazione proletaria. Questo è il compito che tutti i capi del “fronte popolare” hanno assunto e che svolgeranno con scrupolosa coscienza quali servi del capitalismo. Agli operai che entusiasti e fiduciosi seguono l’unione sacra del fronte controrivoluzionario diciamo di esaminare e riflettere, alla luce della terribile sconfitta tedesca, una situazione analoga che i lor dirigenti preparano. La via della lotta contro le minacce di guerra e contro il fascismo è quella che ci hanno indicato gli operai di Brest e di Tolone. Su questa via deve trovarsi il partito politico della classe proletaria, che, al di fuori di ogni compromesso, di ogni forma di asservimento a forze estranee ai suoi interessi, e ad ogni forma di corruzione, sappia unire gli sforzi e le lotte della massa lavoratrice contro i decreti legge oggi, per la conquista del potere, domani.
Fuori dal “fronte popolare” che prepara l’affamamento delle masse che spiana la strada al fascismo!
Fuori dai partiti comunisti diventati strumenti al servizio diretto del capitalismo!
Raggiungete le frazioni di sinistra comunista per la battaglia efficace contro il capitalismo e tutti i suoi agenti!
Per la rivoluzione proletaria!
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Rispetto a quei tempi, oggi domina, si sa, la farsa di quart’ultimo ordine, con tutte le compagnie nazionali di guitti e buffoni di corte che si danno da fare per recitare il copione imposto loro dal capitale. Ma attenti, proletari: la tragedia (repressiva, patriottica, guerrafondaia) è già qui, è già in atto, e ci siamo dentro.