DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Davanti alle guerre del capitale, i nodi vengono al pettine e le contraddizioni esplodono ovunque, in ogni aspetto della realtà e non solo negli stravolgimenti di alleanze e schieramenti che, dall'alba del secondo dopoguerra alla conclusione della guerra fredda, parevano ed erano celebrati come definitivi.

Nel giro di pochi mesi, in realtà preparati dalle inesorabili leggi del modo di produzione capitalistico sfociate nell’attuale crisi di sovrapproduzione, si sono oscurate le magnifiche sorti progressive di un ottimistico vivere collettivo fatto di pacifici commerci e moltiplicarsi di libertà, pagate invece con il sangue e lo sfruttamento di milioni di proletari nelle metropoli di vecchio e nuovo capitalismo o macinati nei focolai di guerre mai spente dopo l'estinguersi del secondo macello inter-imperialista. Tutto sta saltando!

Il dominio della borghesia, espresso nelle variegate forme dello Stato imperialista, si mostra per quello che è: una società “civile” violenta, aggressiva, alienata e alienante, che pur di obbedire alla necessità di accumulare e valorizzare capitale è pronta a far subire all'immensa maggioranza di noi proletari nuove distruzioni, nuovi massacri.

Dopo le prime avvisaglie dei conflitti mediorientali e balcanici, con l'orrore, ben presto fatto dimenticare, delle pulizie etniche fra stupri di massa e fosse comuni, e le incessanti contese per il controllo delle zone di estrazione e commercializzazione delle ricchezze d’Africe (materie prime minerarie e agricole, e soprattutto enorme serbatoio di forza lavoro) e altri orrori fatti dimenticare, dal genocidio in Biafra e Ruanda alla guerra infinita in Sudan, Sud Sudan, Somalia, con colpi di stato e restaurazioni, scorribande di truppe europee, russe, e mercenarie di varia natura, ora le nuvole della guerra stanno scatenando le loro tempeste nel cuore dell'Europa e nell'atrocità dello sterminio del proletariato di Gaza.

Le moderne guerre imperialiste hanno le loro cause ben radicate nella natura stessa delle forze di produzione del Capitale e si manifestano nelle forme di produzione, cioè nel modo in cui la borghesia organizza la propria dittatura: lo Stato nazionale con tutto il suo apparato ideologico che non è una filosofica “falsa coscienza”, ma una concretissima organizzazione pratica di mediazione, irreggimentazione, assistenza, sfruttamento, monopolio della violenza, per mantenere ogni spinta antagonista, ogni manifestazione della lotta di classe, entro i limiti della propria sopravvivenza, a qualsiasi costo e con ogni mezzo.

Le forze produttive impongono la preparazione dell'economia di guerra (di cui uno degli archetipi è l'economia dello Stato di Israele). Ogni Stato comincia a stanziare sempre più fondi per il riarmo, l'ammodernamento degli arsenali, l'adeguamento della rete logistica al trasporto di truppe (sempre più professionalizzate anche quando si ripropone la leva obbligatoria, con la retorica dell'“esercito popolare”), nuove armi e sistemi d'arma, confermando così l'analisi della critica comunista: nella contemporanea fase storica imperialista, lo Stato borghese svolge la funzione del capitalista collettivo, di cui il Governo è l'amministratore delegato, nominato dall'assemblea dei suoi azionisti, il Parlamento.

La funzione ideologica delle forme di produzione della dittatura borghese non cambia di qualità nei momenti di “prosperità” e di “pace” e nei momenti di “crisi” e di “guerra”. Cambia solo la sua intensità, così come cambia la retorica dei suoi funzionari, dal politicante al sacerdote di mille superstizioni religiose, dal sindacalista professionista al ricercatore universitario, dal questore al dirigente d'azienda... E la violenza che si esercita sulla nostra classe da potenziale diventa sempre più cinetica.

Da sempre, la borghesia si è organizzata e si organizza in Nazione o Popolo, mistificando le differenze di classe nella pretesa sintesi di una “comunità di valori” (“Siamo tutti sulla stessa barca, per gli Dei!”), che spaziano dalla banalità dell'unità linguistica alle più raffinate espressioni spirituali, dal “laicismo” al “bigottismo”di Stato... Per non parlare dell'idiozia di una pretesa omogenea linea genetica: la “razza”. E da sempre, organizzandosi in Nazione, in Popolo Armato, le diverse borghesie ci hanno trascinato e utilizzato come arma e carne da cannone per conquistare mercati e spazi d'investimento.

È da queste trappole che la nostra classe si deve liberare, sulla base non certo della contrapposizione retorica e idealistica, ma sulla base dei duri fatti materiali: con la lotta politica, con la lotta sociale a cui ci costringe e a cui ci allena la quotidiana constatazione delle differenti condizioni di vita, lavoro, ruoli e funzioni, che scaturiscono dalla moderna organizzazione sociale.

Di questa lotta portata fino in fondo la borghesia ha istintivo, ferino e feroce, terrore. E a questa lotta bisogna prepararsi senza retorica, ma con tenacia e pazienza: riprendere e usare le armi più appropriate, a partire dall'organizzazione della nostra classe in Partito, cioè in una comunità che difende e propugna i nostri interessi quotidiani e storici contro tutte le mistificazioni dei nostri nemici – le patrie, le religioni, le unità popolari, le economie nazionali... e tutte le altre balle!.

Il proletariato che parla tutte le lingue del mondo, se non è rivoluzionario, se non segue un suo progetto politico indipendente, internazionale e antinazionale, è destinato a rimanere un animale da reddito nelle mani dei suoi padroni, sacrificabile in nome di una qualsiasi divinità sull'altare di una qualsiasi patria.

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  • Dove va la resistenza palestinese? (II)(Il Programma comunista, n°18, 1977)
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  • Il lungo calvario della trasformazione dei contadini palestinesi in proletari(Il Programma comunista, n°20-21-22, 1979).
  • In rivolta le indomabili masse sfruttate palestinesi ( E' nuovamente l'ora di Gaza e della Cisgiordania)(Il Programma comunista, n°8, 1982)
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