Cagliari. Il 25 luglio, si sono tenuti in città un corteo e un’assemblea pubblica sull’ultimo Decreto Sicurezza. Nei volantini di preparazione dell’assemblea, si sottolineava soprattutto il reato di “terrorismo della parola”, ossia la negazione della libertà di opinione e di critica.
Il carattere della manifestazione è stato da subito pacifico e legalitario: il solito inno alla libertà e democrazia, portate in corteo come sacri dogmi e sacre reliquie, entro il percorso stabilito dalla prefettura, appena 500 metri dal punto di riunione alla piazza dove si è svolta assemblea, isolata dalle vie pedonali dello shopping per non arrecare nessun disturbo alla circolazione… del capitale. E per essere proprio sicuri di non inceppare la macchina del capitale, il potenziale di repressione dello Stato democratico, schierato a circondare continuamente i 300 manifestanti.
Erano iscritti a parlare circa 50 rappresentanti di varie organizzazioni: soprattutto i comitati territoriali contro speculazione energetica del finto green e altre organizzazioni ambientaliste, Sardigna Natzione, Libertade e altre organizzazioni indipendentiste e per la nazione sarda; i sindacati di base USB e Cobas (rappresentanti soprattutto insegnanti e statali); Carc; Partito Comunista Italiano e stalinisti vari; pacifisti, comitati contro la militarizzazione della Sardegna; Movimento pastori, Cagliari SocialForum; collettivi “marxisti leninisti” di studenti...
Sapevamo di rivolgerci a un uditorio prevalentemente piccolo borghese, e che ci sarebbe stata l’eventualità d’incontrare l’ostilità di tanti e degli stessi organizzatori. Ciò non ci ha impedito di dire ciò che un comunista deve dire di fronte al tema della repressione da parte dello Stato, tema dell’assemblea, nonostante fosse impostata e incentrata più sul tema ambientale. Come se l’ultimo Decreto Sicurezza fosse stato scritto, per punire con misure ad hoc proprio le proteste dei comitati popolari sul problema ambientale della transizione energetica ed ecologica in Sardegna... Sicuramente, esiste un problema ambientale, di erosione del suolo: lo diciamo da secoli, è uno dei prodotti inevitabili del capitalismo. Ma il tema dell’assemblea resta la repressione delle lotte da parte dello Stato, e anche questo, come quello ambientale, è un problema molto più ampio dei confini dell’isola: non è locale o temporaneo, ma ampio e generale, riguarda un modo di produzione e quindi i rapporti tra le classi sociali, a livello mondiale. Su questo occorreva esprimersi, di fronte anche a giovani con pretese rivoluzionarie, presenti all’assemblea.
La presidenza dell’assemblea, tenuta da un rappresentante dell’USB, ha stabilito che si poteva parlare per 3 minuti ad oratore… Be’, che differenza c’è tra questo e il “terrorismo della parola”? La presunta voglia di lottare contro la repressione dello Stato non merita più di 3 minuti di attenzione a un’analisi di classe, con indicazioni d’azione? L’ostinazione nel cercare di interrompere il nostro intervento, che nella sua completezza sarebbe durato qualche minuto in più dei previsti 3, ci ha confortato nella giustezza delle nostre affermazioni!
Poiché durante gli interventi che ci avevano preceduto erano venute acclamazioni alla Libertà, alla Democrazia, alla Nazione sarda, allo Stato “popolare e rappresentante di tutti”, come era facile prevedere, piuttosto che continuare l’elenco di doglianze e di repressioni che già avevano trovato ampiamente voce nell’assemblea, abbiamo semplicemente ricordato che le vere lotte in Italia le ha condotte il proletariato immigrato e senza riserve, a cui è stata riservata la più feroce repressione. E che è soprattutto della lotta di classe, degli scioperi veri e dei picchetti che la borghesia ha paura, e in questa verità e tendenza storica continuamente confermata si inserisce anche ultimo Decreto Sicurezza. Quindi occorreva soprattutto fare la critica a principi trascendentali come Democrazia, Libertà e Stato, a cui l’assemblea si richiamava in maniera religiosa e confusa, molto poco concreta.
La nostra critica alla Libertà e allo Stato borghese è stata quella che maggiormente ha agitato la presidenza dell’assemblea, che cercava continuamente di toglierci il microfono. Anche questa era una eventualità che ci aspettavamo ed eravamo preparati a tenere il microfono almeno per proporre la soluzione alla repressione dello Stato, dato che nessuno nell’assemblea aveva offerto una soluzione al problema che era il tema stesso dell’assemblea: la violenza della borghesia, il suo attacco alle lotte del proletariato.
Tra le urla di “Basta! Basta! Tempo! Tempo”, del presidente, abbiamo concluso tenendo saldo il microfono e ricordando:
“Chi oggi, di fronte al continuo inasprimento della repressione, chiede il ritorno alla legalità e alla democrazia, chi sogna uno Stato buon padre, neutrale, espressione della volontà popolare, è, volente o nolente un difensore del sistema vigente, che invece che lavorare per organizzare il proletariato e aiutarlo a difendersi dalla violenza dello Stato, lo disarma e lo consegna inerme ai suoi aguzzini. Non ci stanchiamo di ripeterlo: il fascismo c'è già – si chiama per l'appunto ‘democrazia’. Nostro compito è combatterlo in tutte le sue forme e vesti. Noi comunisti rivoluzionari continueremo a stare dalla parte del proletariato, e in particolare dei proletari che lottano, ben consci che questo ha un prezzo. Continueremo a lanciare parole d’ordine che chiamano alla lotta, alla solidarietà fra lavoratori, alla difesa intransigente delle nostre condizioni di vita e di lavoro, anche se questo significherà essere fuori legge. Operiamo perché si superino tutti gli steccati, le divisioni, le false contrapposizioni che la borghesia e i suoi servi utilizzano per dividere i proletari. Ci opporremo con il disfattismo contro lo Stato borghese di fronte al macello dei proletari chiamati alla guerra, che si sta già preparando. Non si può reagire alla violenza dello Stato borghese porgendo l’altra guancia, ma opponendo la violenza del proletariato organizzato alla violenza del suo Stato, per abbatterlo infine, perché solo allora, dalle sue macerie possa sorgere la società comunista futura. L’unica possibilità per una società senza classi, senza Stato, senza violenza, senza guerre e sfruttamento, in rapporto armonico e finalmente sostenibile con l’ambiente naturale.”
Le nostre parole potevano anche cadere nel vuoto: ma noi comunisti avevamo comunque il dovere di dire quello che abbiamo detto, di parlare chiaro. E di fatto, molti soprattutto dei giovani hanno ascoltato e apprezzato, e poi si sono avvicinati per dircelo.
Il presidente dell’assemblea, continuamente impegnato nel tentativo di toglierci il microfono, è sembrato rilassarsi alla fine del nostro intervento, quando, rivolto ai suoi vicini ha affermato, sorridente, pensando di non essere ascoltato: “sono stalinista, ma non sono riuscito a fermarlo”. Al che gli abbiamo gridato: “si vede sì che sei stalinista!”.
È proprio nella lotta all’opportunismo che guadagniamo credibilità tra i proletari combattivi e tra i veri rivoluzionari. I giovani presenti hanno avuto un esempio concreto di che cos’è la loro democrazia, la loro lotta contro il “terrorismo della parola”.