La guerra è l‘habitat naturale del capitalismo: imperialismo significa, infatti, accresciuta competizione internazionale, acuite guerre commerciali, esportazione di capitali che entrano inevitabilmente in conflitto gli uni con gli altri, controllo delle sorgenti di materie prime e delle loro vie di trasporto e dunque tentativo di escluderne i concorrenti, fino all'esplodere incontrollato di conflitti prima locali e poi, in prospettiva e in presenza di condizioni materiali favorevoli e necessarie, mondiali.
In questo momento, le relazioni fra le principali potenze imperialiste esprimono le contraddizioni sprigionatesi dal progredire e acuirsi della crisi economica mondiale: necessitano quindi di nuovi rapporti di forza. Gli Stati Uniti d’America (economicamente in declino, ma militarmente aggressivi) non possono più tollerare che altre potenze erodano il loro dominio e le loro aree d’influenza: soprattutto non possono più tollerare che Germania, Francia, e perfino Italia facciano affari con la Russia e la Cina, svincolandosi ulteriormente dal loro lungo dominio. Naturalmente, il pretesto della guerra è sempre il nazionalismo, causa ultima di ogni possibile conflitto, e il letamaio dove esso prospera sono proprio le zone d’incontro e di scontro tra le sfere d’influenza: il pretesto più recente è lo scontro fra il nazionalismo ucraino e quello russo.
Di fronte alla giungla dei nazionalismi, rinascenti o solo per poco sopiti, per non fare la fine dei proletari palestinesi, slavi, irakeni, afgani, libici, siriani, kurdi, la parola d’ordine del proletariato internazionale deve tornare a essere quella del disfattismo rivoluzionario: il rifiuto netto e totale di schierarsi su un fronte come sull’altro, di appoggiare questa o quella borghesia, e in primo luogo la “propria”. Nessuna “patria è in pericolo”, nessuna “democrazia è violata”, nessun “nemico è invasore”, nessun “esercito è liberatore”: l’unica classe minacciata è il proletariato che non deve cadere in queste trappole micidiali!
La sola via per evitare altri macelli passa per:
- Rifiuto di accettare sacrifici economici e sociali in nome dell’“economia nazionale”
- Organizzazione della lotta di difesa delle condizioni di vita e di lavoro dei proletari per colpire duramente l’impegno bellico della borghesia
- Rottura aperta della pace sociale e ritorno deciso ai metodi e agli obiettivi della lotta di classe, l'unica reale solidarietà internazionalista dei proletari tanto delle metropoli quanto delle periferie imperialiste
- Rifiuto di ogni partigianesimo (nazionalista, religioso, patriottico, mercenario, umanitario, pacifista) a favore di uno qualsiasi dei fronti imperialisti.
- Azioni di sciopero fino allo sciopero generale contro ogni tipo di mobilitazione e propaganda bellica.
Solo sulla base di queste premesse, che esigono l’indipendenza d’azione del proletariato, sarà possibile organizzare l’aperto disfattismo rivoluzionario, che permetta di sgretolare e spezzare il fronte di guerra e aprire la strada alla guerra di classe. In questo impegno di lotta, i nostri alleati sono i proletari di tutto il mondo e in particolare quelli dei paesi massacrati dalle guerre imperialiste. Non lo sono e non lo saranno mai questo o quello Stato borghese, questa o quella frazione borghese, comunque armata o “resistente”, qualunque sia la sua veste, laica o religiosa, riformista o – peggio ancora – pseudo-socialista. La crisi economica profonda e gli interventi armati che si sono susseguiti in questi ultimi decenni dimostrano che il modo di produzione capitalistico è giunto ormai al capolinea: la sua lunga agonia è solo distruttiva. Lo strumento per dargli il colpo di grazia è l’organizzazione del proletariato nel partito comunista internazionale.
21 febbraio 2022